Ing&Media: Gas, la crisi vista dall’Italia. Le scorte non basterebbero a coprire un taglio delle forniture durante l’inverno – Il Sole 24 Ore

Ing&Media: Gas, la crisi vista dall’Italia. Le scorte non basterebbero a coprire un taglio delle forniture durante l’inverno – Il Sole 24 Ore
Riportiamo l’intervento a firma di Angelo Spena, Dipartimento Ingegneria dell’Impresa,  Università di Roma  “Tor Vergata”,  pubblicato su “Il Sole 24 Ore” del 6 settembre 2002 a pag.13. 
Secondo il professor Spena, ingegnere, ordinario di Gestione ed Economia dell’energia, l’aspetto economico legato alla crisi del gas, a dispetto delle apparenze, poco dipende dalla guerra e molto dalla finanza.   Nel 2020 in Italia, a fronte di circa 670 TWh di metano (transazioni reali) immessi sulla rete, erano state scambiate partite di gas (transazioni virtuali) sul solo mercato interno per oltre 3.520 TWh: ogni metro cubo prima di essere erogato all’utente finale era stato manipolato dalla speculazione mediamente più di cinque volte. 
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Il Sole 24 Ore  06/09/2022 pag. 13

Senza il gas di Mosca i razionamenti saranno inevitabili

LA CRISI VISTA DALL’ITALIA

Angelo Spena* 

Insegniamo da decenni nelle università che sicurezza, resilienza, efficienza di un sistema energetico devono fondarsi, per intrinseca complessità, sul presupposto che nessuna fonte primaria, nessuna filiera, nessun fornitore possa mai risultare esclusivo e risolutivo. Sotto più profili interagenti: tecnico, economico, geopolitico.

Oggi il gas naturale è di amara attualità geopolitica. L’aspetto economico, a dispetto delle apparenze, poco dipende dalla guerra, molto dalla finanza: nel 2020 in Italia, a fronte di circa 670 TWh di metano (transazioni reali) immessi sulla rete, erano state scambiate partite di gas (transazioni virtuali) sul solo mercato interno per oltre 3.520 TWh: ogni metro cubo prima di essere erogato all’utente finale era stato manipolato dalla speculazione mediamente più di cinque volte.

Il profilo tecnico invece fortemente si lega alla crisi, come del resto già avvenuto tra il 2005 e il 2010 durante le dispute tra Russia e Ucraina su prezzi e pagamenti, con interruzioni nel rifornimento di gas, in particolare nel gennaio del 2009. Dèja vu.

La sicurezza nella fornitura di gas va perseguita con una effettiva libertà di transito, e con il rafforzamento delle reti europee e delle interconnessioni extraeuropee per gli approvvigionamenti. Il compromesso raggiunto a livello comunitario nel febbraio 2019 per consentire il definitivo completamento del gasdotto NordStream2 fece invece contestualmente tramontare la prospettiva, a lungo coltivata in documenti ufficiali ma purtroppo al solito non supportata da un impegno politico adeguato, che il nostro Paese potesse diventare hub di transito del gas metano dall’Oriente e dal Mediterraneo verso il Centro Europa. Non solo: lasciava anche presagire che il rafforzamento della rotta che passa attraverso la Germania avrebbe potuto causare aumenti di prezzo sul mercato italiano. È sempre stato nell’interesse dell’Italia che i progetti di nuovi gasdotti nel Mediterraneo non venissero accantonati: senza un bilanciamento delle provenienze, la penisola si troverà sempre ad affrontare costi inevitabilmente più elevati rispetto ai Paesi del Nord Europa. Non è senno di poi: da tempo denunciamo l’evidenza, che cioè la stessa sicurezza avrebbe potuto essere messa a repentaglio, qualora non si fosse realizzata una vera piena integrazione del mercato europeo del gas naturale, e una sufficiente diversificazione delle provenienze.

Su queste premesse tutt’altro che rassicuranti, e pertanto prevedibile a medio-lungo termine, una nuova crisi si annuncia così il 31 marzo 2022. Il presidente Putin decreta: «Se i pagamenti non avverranno in rubli i contratti esistenti saranno interrotti…». Non è un cigno nero. Eppure, appena il tempo di duplicare i conti correnti, e cominciano le capriole: si cerca sul mappamondo, si sventola la chance degli stoccaggi: «Al momento le riserve italiane di gas consentono comunque di mandare avanti le attività del Paese anche in caso di brusche e improbabili interruzioni delle forniture russe». Ci si premura di tranquillizzare gli Italiani (e possibilmente i mercati – ma questi abboccano meno, accedono ai dati in tempo reale) dicendo di star riempiendo i serbatoi: siamo all’80%, e sopra la media europea.

I problemi non si risolvono negandone l’esistenza. Governanti pro-tempore e politici eligendi, ai cittadini – ed elettori – dicano la verità. Chiariscano anzitutto l’aspetto tecnico, inevitabilmente sotteso e prodromico a ogni scelta e decisione: con gli stoccaggi pieni anche al 100% abbiamo (dati Mite per il 2021), sull’arco di un intero anno, 201/727 TWh x 12 ovvero solo 3,3 mesi di autonomia. I quali mesi, durante l’inverno, a causa dei consumi per riscaldamento, si riducono mediamente a 201/81 TWh, pari a 2,5 mesi di autonomia. E a ridosso di dicembre e gennaio, quando la domanda giornaliera di metano giunge a raddoppiare rispetto alla media annuale, scendiamo (sempre dati Mite per il 2021) a soli 201/81 TWh = 2,1 mesi. Due mesi di autonomia, in assenza di apporti dall’estero. E questo solo se gli accumuli fossero a fine novembre ancora pieni al 100% (la UE ha chiesto l’80% per il 2022 e il 90% per il 2023). Peggio di noi sta solo la Germania, che parte da una media annua di soli 2,8 mesi (dati Mite 2021) e ha pure un inverno più rigido. I nostri e i loro stoccaggi, rimasti sostanzialmente scorte commerciali dimensionate per gli affari e gli shipper in funzione dei prezzi e dei segnali del mercato, possono bilanciare gli scostamenti stagionali solo finché il tallone d’Achille – l’inverno – non viene colpito da un taglio agli apporti dall’estero.

I fatti impongono dunque una prima evidenza tecnica: la necessità strutturale di por mano con convinzione ad accrescere la capacità strategica degli stoccaggi di gas.

Niente di meglio c’è tuttavia da aspettarsi dal possibile sfruttamento dei giacimenti italiani. È un falso problema: le mitiche riserve nazionali a oggi certe (note e recuperabili) di gas, cui colpevolmente secondo taluni non attingiamo da più di vent’anni, basterebbero solo (dati Mite a fine 2021) per 381/727 TWh x 12 = 6,3 mesi. E quand’anche divenissero utilizzabili anche le risorse oggi solo probabili al 50%, si arriverebbe a 807/727 x 12 = 13 mesi. Un anno, e poi l’Italia chiuderebbe comunque con il metano. Per sempre.

E siamo alla seconda evidenza tecnica: il ricorso alle riserve italiane è solo opzione di ultima istanza. I pozzi di gas nazionali vanno tenuti produttivi, ma non eroganti: pronti cioè (in alcuni mesi) all’uso solo in situazioni altamente emergenziali come potrebbe divenire quella attuale. Ma senza mai attingervi nella normalità.

Urge il coraggio del principio di realtà. Se la crisi continua, e la Russia dovesse arrivare ad azzerare gli apporti, il razionamento sarà inevitabile. E i primi mesi del 2023 rischiano di essere drammatici. Occorre un approccio di sistema razionale, consapevole, flessibile quanto necessario per la pubblica accettazione di restrizioni e l’innesto di innovazioni con ogni consentita rapidità.

*Ordinario di Gestione ed Economia dell’energia, Università di Roma “Tor Vergata”

 

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